La Campania è una terra felice, dove Bacco ama scorrazzare libero con il suo seguito allegro, festoso e trasgressivo. La sua presenza si annusa ovunque, passando per le campagne piene di pianure, colline e anfratti paludosi, dove mille rivoli giocano a formare un fiume e viceversa.

Dalle pianure, calcari bianchi svettano irti – e veloci – a raggiungere gli appennini del Matese e dell’Irpinia. In ognuno di questi habitat vi è una specie di vite che racconta la storia di un passato che è presente.

Lo stupore che mi accese la scoperta di un vino talmente diverso dagli altri fino ad allora conosciuti mi fece domandare in quale terra fossi “atterrato”. Erano i primissimi anni di frequentazione di una zona che, solo all’apparenza, mi era apparsa normalmente bellissima. Anche se, a quei tempi, la Campania per me era solo una terra di passaggio. Qui i vini parlano di sé, ma se li sai ascoltare, ti connettono con la civiltà in cui sono stati selezionati nei secoli di scelte umanissime, marza dopo marza, in un rapporto intimo tra il contadino e la sua vigna.

Il “Barbera del Sannio”, ancora lo chiamavamo così per un vezzo di un signore mercante “chissà chi” del primo Novecento, mi stupì per colore e soprattutto per odore e sapore. Non ce ne sono uguali, non ce ne sono di migliori nel suo genere. Allora non avevamo ancora capito bene le sue virtù, ma certo ci facemmo prendere da esse e ci fu caro Bacco quella notte.

Il momento di raccogliere il Camaiola, vero nome di questo vitigno, quello che si lega alle tradizioni dialettali del Sannio, è determinato non dalla fredda curva di “maturazione tecnologica”, ma dal momento del suo gemere, quando cioè dalla bacca (ormai matura) scende una piccola lacrima solo a toccarla. Questa, in quel momento, deve essere turgida, florida, rigogliosa e così rossa da apparire quasi nera. Questo vitigno parla spontaneamente di sé e non dobbiamo interrogarlo con analisi chimiche e/o sensoriali, ma solo conoscerlo.

Alla vendemmia le sue uve devono essere raccolte in cassette basse, quasi a coccolarlo, non si pigia l’acino e si fa fermentare senza stress. Al momento della svinatura tutto è pronto per farci inebriare dal suo profumo e dai suoi aromi, che si sprigionano al primo suo travaso ripagandoci di tutte le nostre fatiche.

Ci sono più modi per far maturare il Camaiola: in botti di rovere o in modo fresco e giovanile.

Il colore rimane sempre intenso, dal suo rosso rubino le sfumature vertono a riflessi violacei, mentre il suo odore avviluppa con il ricordo di frutti rossi, pepe e rosa: è bello tuffarsi alla scoperta di profumi che si esaltano a seconda del vino che se ne vuole trarre e, da lì, rimanere sospesi tra cielo e terra!

Sì, perché la sua versatilità ha permesso a noi di tenerlo come vino giovane oppure di farlo maturare in botte, o ancora di crearne un rosato.

Quando questo nettare si fa largo nella nostra bocca, il palato gusta la rotondità dei suoi tannini dolci e miti, ancora rimanda la mente alla pienezza delle bacche dei rovi, allo schiudersi dei loro fiori, alla polpa delle “cerase”.    

Abbinamento cibo:

rosato: primi piatti delicati in salsa rossa a base di carboidrati, zuppe di pesce, salumi.

rosso fermo: Primi piatti in salsa rossa  a base di carboidrati, carni rosse, formaggi semistagionati non piccanti. Eccezionale con pesce saporito (per esempio il baccalà).

Dolce Andromyda: primi piatti a base di salsa dolce, accostamenti caramellati e pasticceria  secca. E’ molto apprezzato anche da solo, riesce molto piacevole e appagante anche così.

Firmato:
La società del Bacco estinto. Rinato.